Nella tradizione popolare, San Giuseppe, è il santo protettore dei poveri e degli abbandonati. Con l’accensione dei FUOCHI si ritiene venga ricordato il peregrinare della coppia di giovani sposi che si videro rifiutata la richiesta di un riparo per il parto. In molte regioni di Italia questo atto, che viola i due sacri sentimenti dell'ospitalità e dell'amore familiare, viene ricordato anche con l'allestimento di un banchetto dedicato, appunto, ai più bisognosi.
L'origine di questa tradizionale manifestazione non e’ certa : se alcuni fanno risalire l'accensione del fuoco in ricordo di San Giuseppe che patì il freddo nella grotta di Betlemme, altri danno a questo evento un significato più pagano. Si ritiene , infatti, che possa risalire addirittura ad una delle feste più importanti dell'antica Roma, in occasione della quale veniva invocato "il sol invictus", la festa della vittoria della luce e della primavera sull'oscuro inverno.
L'accensione dei Fuochi, consuetudine già diffusa e presente nelle campagne e nata da esigenze pratiche come quelle di bruciare gli arbusti della potatura e il residuo del raccolto dei campi, fu associata alla celebrazione solenne del Santo nel settecento.
Da quel momento in ogni piazza e campagna di Italia (ma anche in alcune regione del resto dell' Europa) enormi cataste di legna e rovi secchi vengono accesi affidando al fuoco l'abbondanza del raccolto, il benessere degli uomini e degli animali, il compito di allontanare il male.
E' infatti con la festa di san Giuseppe che si saluta definitivamente l'inverno e si comincia a respirare il profumo della primavera.
Quale che sia l'origine, i falò di San Giuseppe hanno resistito, in quasi tutto il meridione d'Italia, per decenni e anche a Gallicchio dove una ingente quantità di legna (frasca) da far ardere per tutta la serata serviva a raggruppare famiglie, giovani e, soprattutto, bambini intorno al "fuoco di San Giuseppe”.
I non più giovanissimi non possono non ricordare questo avvenimento che richiedeva molti giorni di preparazione nel raccogliere legna dai campi e trasportarla coi carrettini o trascinandola, al luogo prescelto per il fuoco. Negli anni Sessanta c’erano tutte le condizioni favorevoli per continuare e tramandare questa tradizione. Prima fra tutte un’urbanizzazione che, seppur in crescita, lasciava ancora ampi spazi e campi all’interno dei centri abitati. Ogni quartiere poteva vantare il suo fuoco, e questo alimentò anche una sorta di gara, o disputa, a chi faceva il fuoco più alto, più grande e più durevole. Ci si muoveva in massa :i bambini in prima linea, con i ragazzi più grandi che coordinavano, ma anche gli adulti impegnati nella riuscita del FUOCO . I ragazzi, soprattutto erano da giorni impegnati a raccogliere la frasca , formata in gran parte da ginestre e altri arbusti simili quale le rimanenze dalla potatura dell' olivo o della vite .
Nelle sere immediatamente a ridosso della fatidica accensione si formavano piccole bande di ragazzi che giravano per i rioni nel tentativo di bruciare “la Frasca” degli altri, così si organizzavano turni di guardia con bidoni da percuotere dalle sentinelle pronte a fare schiamazzo e avvisare il rione del pericolo.
La sera della vigilia della Festa di San Giuseppe nel posto prestabilito, al centro, si scavava un buco e vi si piantava un albero di elce,chiamato PeDANALe che veniva addobbato e preparato per l’accensione con materiali secchi, per lo più formati da "cistarielli ", e lo si circondava di frasca. Infine l’accensione che vedeva la partecipazione di quasi tutte le famiglie pronte ad assistere al grande evento con inizio intorno alle ore 21,00. C’era sempre un esperto per accendere il fuoco in modo accurato e omogeneo, normalmente uno dei “grandi” . E poi tutti a guardare ammutoliti le fiamme alzarsi ed ascoltare con orgoglio il crepitio degli arbusti che ardevano . Infine quando ormai restava un fuocherello basso e le braci ardenti i più grandicelli si esibivano con i salti del fuoco tra gli applausi dei presenti.